Sunday, February 21, 2016

HW7: La macchine in "Cent'anni di solitudine"

L'astrolabio

"Alla fine stanco di aspettare, si lamentò con Melquìades del fallimento della sua iniziativa, e lo zingaro diede allora una prova convincente di onestà: gli restituì i dobloni in cambio della lente, e gli lasciò inoltre delle mappe portoghesi e diversi strumenti di navigazione. [...] Quando fu esperto nell'uso e nel maneggio dei suoi strumenti, ebbe una nozione dello spazio che gli permise di navigare per mari incogniti, di visitare territori disabitati e di allacciare rapporti con esseri splendidi, senza bisogno di lasciare il suo laboratorio. Fu in quel periodo che prese l'abitudine di parlare da solo, vagando per casa senza badare a nessuno, mentre Ursula e i bambini si rompevano la schiena nell'orto [...]. Alla fine, un martedì di dicembre, verso l'ora di pranzo, esplose in un colpo solo tutta la carica del suo tormento. [...] rivelò la sua scoperta: << La terra è rotonda come un'arancia.>>. Ursula perse la pazienza. <<Se devi diventare pazzo, diventalo per conto tuo>> gridò. [...] José Arcadio Buendìa, impassibile, non si lasciò intimorire dalla disperazione di sua moglie, che in un eccesso di collera gli spezzò l'astrolabio per terra."



La macchina della memoria

"Era la peste dell'insogna. [...] Ma l'india spiegò loro che la cosa più terribile della malattia dell'insogna non era l'impossibilità di dormire, dato che il corpo non provava alcuna fatica, bensì la sua inesorabile evoluzione verso una manifestazione più critica: la perdita di memoria." [...] José Arcadio Buendìa decise allora di costruire la macchina della memoria che una volta aveva desiderato per ricordarsi delle meravigliose invenzioni degli zingari. Il marchingegno si basava sulla possibilità di ripassare tutte le mattine, e dal principio alla fine, la totalità delle nozioni acquisite nel corso della vita. La immaginava come un dizionario girevole che un individuo situato al centro potesse manovrare mediante una manovella, in modo che in poche ore passassero davanti ai suoi occhi le nozioni più necessarie per vivere."



Il Dagherrotipo

"Nel frattempo, Melquìades terminò di effigiare nelle sue lastre tutto quello che era effigiabile a Macondo, e abbandonò il laboratorio di dagherrotipia ai deliri di José Arcadio Buendìa, che aveva deciso di utilizzarlo per ottenere la prova scientifica dell'esistenza di Dio. Mediante un complicato processo di esposizioni sovraesposte prese in diversi luoghi della casa, era sicuro di fare prima o poi il dagherrotipo di Dio, se esisteva, o di porre fine una volta per sempre all'ipotesi della sua esistenza."

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